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Composti fra il 1796 e il 1797, i sei Quartetti op. 76 sono – insieme agli unici due portati a termine dell’op. 77 – il punto d’arrivo d’una parabola iniziata ben quarant’anni prima, con i Quartetti op. 1, risalenti al 1757-1759. Quando Haydn l’aveva preso nelle proprie mani, il quartetto era un genere musicale non ancora ben definito, il numero dei suoi movimenti era fluttuante, la sua struttura era gracile e perfino il suo nome era incerto e intercambiabile con quelli di “divertimento”, “concertino” e simili: applicandosi al quartetto oltre settanta volte in quarant’anni, Haydn ne arricchì e ne sviluppò enormemente le possibilità, ne fece il “principe” della musica strumentale da camera e consegnò infine nelle mani dei suoi successori un genere musicale ben definito e allo stesso tempo capace di ulteriore e radicale evoluzione per oltre un secolo, fino a Schönberg, Berg e Webern.
Con questo Haydn si guadagnò l’appellativo di “padre del quartetto”, che però rende solo parzialmente giustizia al valore e al significato delle ricerche e sperimentazioni continue, instancabili e spesso audaci, con cui egli giunse a superare la struttura dei primi quartetti e ad attribuire importanza paritetica ai quattro strumenti, a sviluppare un discorso contrappuntistico serrato, a dare maggiore complessità e individualità ai temi, a rendere più vari i ritmi, a creare architetture più ampie e allo stesso tempo più organiche e unitarie.
Troppo spesso si rappresenta Haydn come l’incarnazione della forma classica, intesa scolasticamente come un modello rigido e cristallizzato, come uno schema immodificabile entro cui incanalare e costringere ogni volta la musica per ottenere un equilibrio formale sperimentato e sicuro. In realtà il classicismo haydniano è uno stile che si attua in modo ogni volta diverso. Pensiamo non tanto alle famose “sorprese” inserite in molte sue sinfonie quanto piuttosto alle soluzioni sempre nuove presenti sia nei dettagli che nella struttura complessiva delle sue composizioni, che soltanto ad un ascoltatore molto superficiale potrebbero apparire prevedibili.
Il più celebre di questi Quartetti è indubbiamente il n. 3, in do maggiore (Hob. III:77), non tanto per una superiore qualità (sarebbe ben difficile stabilire una graduatoria di questo tipo fra questi sei capolavori) quanto per l’utilizzazione, come tema del secondo movimento, della melodia dell’inno austriaco (e poi tedesco) «Gott erhalte den Kaiser», composto da Haydn su un testo del poeta Lorenz Haschka ed eseguito per la prima volta il 12 febbraio 1797, in occasione del compleanno dell’imperatore.