Clicca qui per effettuare il download dello spartito in PDF Amazing Grace
Il titolo, che significa “grazia incredibile”, fa riferimento a diversi passi biblici:
«Per questa grazia, infatti, siete stati salvati mediante la fede; questo non viene da voi ma è grazia di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.» (San Paolo, Lettera agli Efesini 2,8-9)
«Chi sono io, Signore Dio, perché Tu mi abbia condotto fin qui? E quasi fosse poco ai tuoi occhi, o Dio, ora parli della casa del tuo servo nel lontano avvenire; mi hai fatto contemplare come una successione di uomini in ascesa, Signore Dio!»
La melodia è forse di derivazione irlandese e comparve per la prima volta tra i canti popolari d’America in una raccolta intitolata Virginia Harmony di Carrell e Clayton (1831).
L’autore è John Newton, ex capitano di navi negriere, e può considerarsi un inno di ringraziamento a Dio per la grazia della sua conversione, tanto più “sorprendente”, quanto più infima era la sua professione. Il percorso che portò l’autore alla riscoperta del cristianesimo fu lungo e tormentato: orfano di madre a sei anni, all’età di undici anni decise di seguire le orme del padre marinaio abbandonando gli studi classici intrapresi. Trascorse l’adolescenza nella Marina Britannica, non senza problemi perché venne messo ai ferri per motivi disciplinari e successivamente fu venduto a un colono della Sierra Leone. In seguito a questi eventi perse la fede giungendo a fare professione di ateismo e ad assumere volutamente comportamenti empi e irriverenti. Riuscì ad evitare un destino di schiavitù arruolandosi come marinaio semplice su un’imbarcazione, e riuscì in seguito a fare carriera diventando capitano di imbarcazioni negriere intorno alla metà del Settecento. Nelle sue memorie lascia un ricordo di quel periodo, che doveva segnare profondamente la sua coscienza, e del disagio che lo condurrà infine all’abbandono di quella professione e alla conversione religiosa:
«Durante il tempo in cui ero occupato nel commercio degli schiavi, io non ebbi mai il minimo scrupolo in quanto alla legittimità di tale traffico. In generale io ne ero soddisfatto, come di una cosa che la Provvidenza stessa mi aveva destinato, sebbene per molti riguardi era lungi dall’essere di mia scelta… Io considerai me stesso come una specie di carceriere o di guardiano e alle volte ero disgustato di un impiego dove non si trattava d’altro che di ceppi, catene e ferri. Considerando questo, io avevo spesso pregato il Signore che egli, a suo proprio tempo, si compiacesse di situarmi in situazione più umana…»
La maturazione della conversione avvenuta a bordo delle navi negriere lo portò ad una ricerca spirituale sempre più profonda che culminò nella vocazione religiosa. Incontrò diverse difficoltà nel realizzare questo desiderio, a causa della mancanza di un titolo di studio adeguato, tuttavia grazie all’intercessione di un amico influente riuscì infine a diventare pastore della parrocchia di Olney, dove si guadagnò presto l’affetto e la stima dei parrocchiani per i suoi modi franchi e decisi. S’impegnò nella stesura di testi abolizionisti dove contrastava le teorie degli schiavisti, e scrisse inoltre degli inni notevoli contenuti in Olney Hymns. Dopo aver servito per 17 anni la parrocchia di Olney, gli venne affidata la chiesa di St. Mary Woolnoth a Londra, dove rimase altri 26 anni e dove poi morirà. Fino all’ultimo, malgrado problemi di salute che lo ridussero quasi cieco e la memoria che cominciava ad abbandonarlo, volle continuare a testimoniare la propria conversione, considerata una strabiliante manifestazione della grazia di Dio, per indicare che, se aveva toccato lui, nessun peccatore ne era escluso, qualunque fossero i suoi peccati. Diceva infatti: «Come potrebbe un vecchio persecutore dell’Africa smettere di parlare fino a che può farlo?». E ancora, durante un sermone: «La mia memoria è quasi del tutto svanita, ma ricordo due cose: che io sono un grande peccatore e che Cristo è un grande salvatore».
Morì nel 1807, esattamente l’anno che vide l’abolizione della tratta degli schiavi in tutti i domini inglesi. Sulla sua lapide sono incise, per sua volontà, le parole pronunciate poco prima di morire:
«John Newton, ecclesiastico, un tempo un infedele e un libertino, servo degli schiavisti in Africa, fu, per grazia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, conservato, redento, perdonato e inviato a predicare quella Fede che aveva cercato di distruggere.»