Joseph Maurice Ravel nacque a Ciboure, il 7 Marzo 1875 nella regione Basca francese, ai confini con la Spagna, la madre era basca, e il padre svizzero.
A sette anni studiava il piano e prima dei 13 anni componeva. I genitori per aiutarlo a sviluppare questa passione lo mandarono a studiare al Conservatorio di Parigi, prima per gli studi generali, ed in seguito come studente di pianoforte.
Durante i 14 anni trascorsi al conservatorio, Ravel concorse, inutilmente, diverse volte, per il prestigioso “Premio di Roma”, e fu proprio a causa di ciò che Ravel lasciò il conservatorio dal ’95 al ’98 per rientrarvi frequentando la classe di contrappunto e fuga (tenuta da Gédalge) e il corso di composizione affidato a Fauré, col quale terminò i suoi studi nel 1905.
A soli 24 anni ottiene un grande successo di pubblico con la “Pavana pour une infante défunte”. In seguito collabora con S. Diaghilev, impresario dei Ballets Russes, creando il balletto “Daphnis et Chloé” che consacrerà il suo talento.
Ravel, come Debussy, appartiene al movimento impressionista, ma fu influenzato dal jazz americano, dalla musica asiatica e dalle canzoni popolari tradizionali di tutta Europa.
Durante la Prima Guerra Mondiale non potendo arruolarsi per la salute cagionevole, diventò un autista di ambulanza e tra il 1914 e il 1915 Ravel componeva un trittico per coro a cappella, eseguito nell’ottobre del 1917 al teatro Vieux-Colombier di Parigi, del quale esiste anche una riduzione per voce e pianoforte.
Joseph-Maurice Ravel, biografia e opere
Composto nel 1920, il poema coreografico “La Valse” è una vera e propria apoteosi del valzer. Ravel lo scrisse dietro espressa richiesta di Djagilev, cioè nove anni dopo aver realizzato per l’impresario pietroburghese un altro balletto, quel “Daphnis et Chloé” che fu uno dei cavalli di battaglia dei Ballets Russes.
Nel 1928 Ravel visitò gli Stati Uniti e il Canada viaggiando in treno ed eseguendo concerti pianistici nelle principali sale da concerto di venticinque città, accolto con entusiasmo da pubblico e critica e si conquistò una laurea ad honorem a Oxford.
Conseguendo una continua e crescente simpatia da parte del pubblico, raggiunge il più clamoroso successo con il “Bolero”(1928), composto su richiesta della celebre ballerina franco-russa Ida Rubinstein.
Fra la musica di Ravel, di estrema piacevolezza e comprensibilità, è da ricordare: “Mamma oca”, cinque pezzi infantili per pianoforte a quattro mani e poi per orchestra, ispirata a cinque favole di C. Perrault, due Concerti per pianoforte e Orchestra, di cui il secondo in re maggiore ha la caratteristica di avere la parte pianistica suonata con la mano sinistra (fu infatti composto per il pianista austriaco P. Wittegenstein, che durante la I guerra Mondiale era rimasto mutilato al braccio destro, ma aveva continuato coraggiosamente la carriera concertistica) e “L’ora spagnola”, per il teatro.
Nel 1932 Ravel fu coinvolto in un incidente d’auto che lo ferì gravemente frenando sensibilmente la sua creatività.
Nel 1937 sempre in seguito all’incidente, fu sottoposto ad un intervento chirurgico che gli fu fatale e Ravel morì a Parigi il 28 dicembre, 1937.
Il compositore, critico, direttore d’orchestra e musicista romantico Hector Berlioz nasce a Côte-Saint-André in Francia il giorno 11 dicembre 1803.
Su volontà del padre, famoso medico, Berlioz viene costretto a studiare medicina a Parigi, pur mostrando grande passione per la musica.
A soli dodici anni Hector Berlioz comincia a prendere lezioni di musica, studiando flauto e chitarra.
Malgrado il diniego dei genitori, Berlioz decide di abbandonare l’Università per il Conservatorio, ma purtroppo questa scelta drastica fa infuriare il padre che decide di togliergli qualsiasi mezzo di sostentamento, così che il giovane è costretto a lavorare al Teatro del Ginnasio Drammatico come corista.
Il corso di composizione condotto dal maestro Reicha non gli piace, tanto che decide di abbandonare gli studi per seguire il suo istinto e la sua esperienza.
Determinato e risoluto, Berlioz scrive una prima messa per orchestra nella Chiesa di San Rocco prima e di Sant’Eustachio dopo.
Per Berlioz la musica deve avere un programma chiaro, capace di esprimerne il significato tramite effetti pittoreschi dati da voce e strumenti.
Seguendo questi principi realizza due ouverture, quella di Waverley e Les Francs-Juges, eseguite prima nei concerti di Waux-Hall e poi nel 1828 nella sala dello stesso Conservatorio dove espone anche il Credo della sua prima Messa.
Subito dopo realizza La Symphonie Fantastique, il suo primo vero capolavoro.
Al Conservatorio il suo maestro Leseur diventa presto suo protettore soprattutto dalle avversie mostrate da Cherubini che gli impedisce l’ammissione al concorso.
Finalmente nel 1830 Berlioz ottiene il primo importante riconoscimento vincendo il primo premio del concorso.
Purtroppo però una clausola del concorso richiede il trasferimento per due anni in Italia, così, malgrado la sua avversione per la musica italiana si trova costretto a far visita prima a Roma e poi a Napoli.
Torna a Parigi con l’ouverture del Re Lear e una nuova sinfonia.
Dal 1828 scrive recensioni musicali su diversi giornali francesi ottenendo quel successo e quella stima che gli permettono di scrivere per la Gazzetta musicale di Parigi.
Inizia per lui un periodo molto proficuo e ricco di soddisfazioni, prima con la sinfonia Aroldo, poi con Romeo e Giulietta fino alla sinfonia funebre realizzata a seguito dell’inaugurazione della colonna in Piazza della Bastiglia.
Nel 1833 si sposa con Harriet Smithson. Malgrado le incomprensioni linguistiche la storia procede e l’anno successivo nasce il loro unico figlio.
Il matrimonio è molto difficile a causa della forte gelosia della moglie.
La loro relazione si conclude pur continuando a provvedere al suo mantenimento.
Nella sua carriera registra solo un grande fallimento con l’opera Benvenuto Cellini del 1838, un totale insuccesso.
Risollevato da questa momentanea crisi, Berlioz decide di portare la sua musica in Europa, prima a Bruxelles, poi in Germania del Nord e in Austria e Ungheria.
Nel 1846 Berlioz adatta il libretto della Dannazione del Faust insieme ad Almire Gandonnière a partire dalla traduzione di Gérard de Nerval della prima parte del testo di Goethe. La prima esecuzione in concerto fu all’Opéra-Comique di Parigi nel 1846. La dannazione di Faust è eseguita regolarmente nelle sale da concerto e talvolta viene anche rappresentata in forma di opera.
Berlioz non si ferma soltanto in Europa, ma arriva nel 1847 anche in Russia dove rappresenta le sue opere più famose a Riga, San Pietroburgo e Mosca.
Nel 1854 si sposa di nuovo ma resta presto vedovo a causa di un improvviso ictus della moglie.
Nel 1861 lavora alla sua ultima opera, “Béatrice et Bénédict”, basata su “Molto Rumore per Nulla” di Shakespeare.
Nel 1862 Berlioz ha una relazione con una giovane donna che muore poco dopo.
Anche il figlio Louis morirà presto di morte gialla.
La morte ha così un ruolo importante nella vita di Berlioz.
Continua a viaggiare per far conoscere la sua musica ma la sua salute è precaria.
Muore l’ 8 Marzo 1869 nella sua casa di Parigi e viene sepolto nel Cimitero di Montmartre.
(Kansas City, 29 agosto 1920 – New York, 12 marzo 1955)
Di famiglia umile, Charlie Parker, detto Bird (Kansas City, Missouri 1920 – New York 1955) rivelò da bambino una vivissima intelligenza, ma non particolari doti musicali. Dopo un periodo di studio del sax, si mise alla ricerca di idee improvvisative nuove, lavorando con orchestre di stile convenzionale (J. Mc Shann). Nel corso di una vita vagabonda e caotica, mise genialmente a punto (1940-43) un linguaggio nuovo, poi chiamato bebop, che avrebbe rivoluzionato il jazz. Segnato dalla droga e da una profonda solitudine, causata anche dalla sua pressoché totale mancanza di rispetto verso i colleghi, persino verso quelli con i quali aveva realizzato le cose migliori (su tutti, Dizzie Gillespie e Miles Davis), Parker rimase vittima di se stesso, del proprio egocentrismo, del suo disprezzo per il pubblico, che lo condusse più volte a esibirsi in pessime condizioni e a rendersi protagonista di episodi avvilenti.
Alle origini della rivoluzione
Alla fine del 1942 Parker e Gillespie furono assunti nell’orchestra del pianista Earl Hines, il cui orientamento teneva in parte conto del clima sperimentale di Harlem. Tuttavia, la formazione, in cui convivevano musicisti swing e moderni, non sopravvisse a tale ambivalenza di stile e si sciolse in poco tempo. Il cantante del gruppo, Billy Eckstine, si trovò in sintonia con i musicisti più avanzati dell’orchestra e decise di fondarne una propria, in cui chiamò Parker e Gillespie. Fu probabilmente in questa orchestra, più ancora che al Minton’s o al Monroe’s, che maturò il bop e si cristallizzò appieno la coscienza innovatrice dei suoi adepti, accomunati da molte convinzioni sull’arte e sulla vita.
Alla fine del 1944, il trombettista Dizzy Gillespie si unì a Parker, con il suo sassofono, al Three Deuces e i due, sostenuti da una ritmica idonea, per diversi mesi sciorinarono la nuova musica di fronte a un pubblico di appassionati. Fu in questo ambito che il grande “Bird” fece saltare gli schemi del jazz classico. Blues e canzoni vennero trasformati in temi originali, stilisticamente omogenei alle improvvisazioni. Queste, poi, riversavano sull’uditorio un uragano di note, in apparenza squassato da un’infinità di accenti, contrasti e cromatismi, ma in realtà soggetto a una nuova organizzazione logica del linguaggio, dove il fragore della sezione ritmica si adeguava all’incandescenza espressiva degli strumenti a fiato. Con la sua valanga di suoni, il quintetto bop stordiva più di un’intera orchestra. E, in seno a questo frenetico strepito, le armonie si avviavano verso la politonalità, lo swing zampillava da una base estremamente complessa, il clima timbrico si allineava alla frequente rinuncia di Charlie Parker al vibrato, tuffandosi in una sorta di fanatica austerità.
Il manifesto del bebop
Nel 1945 Parker incise per la casa discografica Savoy quello che può essere ritenuto il manifesto del bebop, in collaborazione con Gillespie, col migliore batterista bebop del momento, Max Roach, con l’allora diciannovenne trombettista Miles Davis, con Curley Russel al basso e un pianista, Argonne Thornton (che poi assunse il nome di Sadik Hakim), chiamato a sostituire Thelonious Monk: si tratta del capolavoro registrato in quella seduta, il brano Ko Ko, affrontato dal gruppo a un tempo vertiginoso e con uno swing demoniaco. Non c’è esposizione del tema: in suo luogo compare una lunga, capricciosa introduzione, ripetuta al termine a mo’ di coda. Suddivisa tra frasi all’unisono e brevi assoli di Charlie Parker e Dizzy Gillespie, essa incornicia un’ampia ed energica improvvisazione del sassofonista e un intervento solistico di Max Roach, segnale della definitiva liberazione della figura del batterista nella storia del jazz. Gillespie, invece, accompagnò al piano l’assolo di Parker, che rivela una proliferazione di elementi inventivi. Melodia, armonia, ritmo e swing, le quattro componenti principali del jazz, si sviluppano indipendentemente e confluiscono in un unico, grandioso messaggio musicale, che, per esistere in tutta la sua potenza, ha bisogno al tempo stesso di una parallela molteplicità di linguaggio anche da parte di tutti gli altri strumentisti. La totale libertà che regnò durante l’incisione di Ko Ko assume in tale luce l’aspetto dell’anarchismo: l’ordine trazionale è andato in frantumi sotto l’impulso di una radicale libertà e uguaglianza. Grazie a Parker, il complessino bop delinea un nuovo patto tra i suoi membri, grazie al quale ciascuno si libera e si annulla, per far germogliare il rivoluzionario frutto di un’appassionata solidarietà.
Il lungo viaggio nel delirio
Preda del disordine personale, schiavo dell’alcol per la difficoltà di reperire droga, Parker ebbe una crisi di follia durante l’incisione di Lover Man (1946). Ricoverato in un ospedale psichiatrico, si riprese; nel 1947-48 diresse un quintetto comprendente M. Davis e attraversò la sua stagione più serena e feconda (creò brani come Out of Nowhere, Parker’s Mood). Abbandonato da Miles Davis e Max Roach, stanchi di sopportarne le eccentricità, proprio mentre veniva accettato come stella del nuovo stile e della relativa moda, Parker cadde vittima delle proprie intemperanze verso un ambiente in cui la notorietà ormai raggiunta, i club di classe e le grandi case discografiche esigevano un comportamento adatto alle convenzioni sociali e industriali: di fronte alle esigenze dell’establishment, Parker ormai era completamente indifeso.
Johann Sebastian Bach (Eisenach, Turingia 1685 – Lipsia 1750) Compositore tedesco dell’epoca barocca. Nato da una famiglia che in sette generazioni produsse almeno 53 illustri musicisti, da Veit Bach a Willhelm Friedrich Ernst Bach, Johann Sebastian ricevette la prima educazione musicale dal padre, Johann Ambrosius. Rimasto orfano, andò a vivere e a studiare presso il fratello maggiore, Johann Christoph, organista a Ohrdruf. Gli anni della maturità Nel 1723 Bach si trasferì a Lipsia, dove trascorse il resto della sua vita. Il suo ruolo di direttore musicale e maestro del coro della chiesa e della scuola di San Tommaso era per molti versi insoddisfacente, a causa dei continui scontri con le autorità cittadine che non apprezzavano il suo genio musicale.
In lui vedevano poco più che un vecchio dalle idee antiquate, ostinatamente attaccato a unostile musicale fuori moda; eppure, le 202 cantate giunte fino a noi (delle 295 da lui composte a Lipsia) vengono eseguite ancora oggi, mentre gran parte di ciò che era in voga e “moderno” a quel tempo è ormai dimenticato. Di norma le cantate si aprono con una sezione per coro e orchestra, proseguono con una successione alternata di recitativi e arie per soli e accompagnamento e si concludono con un corale basato su un semplice inno luterano. La musica, sempre aderente al testo, lo nobilita immensamente con la propria espressività e intensità spirituale. Tra queste opere troviamo la Cantata dell’Ascensione e l’Oratorio di Natale costituito da sei cantate. La Passione secondo Giovanni e la Passione secondo Matteo furono scritte anch’esse a Lipsia, così come la monumentale Messa in si minore. Tra le opere create per strumenti a tastiera in questo periodo si trovano le famose Variazioni Goldberg, la seconda parte del Clavicembalo ben temperato e L’arte della fuga, una straordinaria dimostrazione di perizia contrappuntista sotto forma di 14 fughe e 4 canoni basati tutti sullo stesso tema.

Claude Debussy fu uno dei protagonisti del rinnovamento della musica agli inizi del ‘900, considerato il padre dell’impressionismo musicale.
La vicenda umana e artistica di Claude Debussy (22 agosto 1862, Yvelines – 25 marzo 1918, Parigi) è, fin dagli inizi, quella di un “irregolare”. Di umili origini, non riceve un’istruzione sistematica e il padre vorrebbe farne un marinaio. In carcere conosce casualmente un’anziana insegnante di pianoforte. È lei a rendersi conto del talento musicale innato del giovane Claude e ad avviarlo agli studi musicali. Ammesso al Conservatorio, si rivela subito anticonformista: rifiuta di eseguire gli esercizi di armonia prescritti perché li trova noiosi ed è alla continua ricerca di soluzioni originali.
Si rassegna a realizzare composizioni “regolari” solo per poter concorrere all’importante “Prix de Rome”, che vince nel 1884. Viaggia molto, ed è affascinato in particolare dalle sonorità orchestrali.
Nel dicembre 1894 viene eseguito per la prima volta il Prélude a l’après-midi d’un faune, ispirato all’omonima poesia di Mallarmé. Anche l’ascoltatore inesperto è in grado di cogliere la novità di quest’opera: il suo andamento fluido, le sue sonorità liquescenti, la sua assoluta libertà ritmica.
La composizione viene immediatamente classificata come esempio di “impressionismo musicale”, classificazione che Debussy stesso respinge perché sostiene essere riduttiva: le sue opere non sono semplici “ritratti in musica”, ma ricercati tentativi di esplorare in profondità le “corrispondenze”
Al Prélude fanno seguito, nel 1899, i tre Notturni (Nuages, Fetes e Sirènes), in cui prosegue la sua opera di ricerca delle possibilità timbriche e coloristiche dell’orchestra.
Nel frattempo lavora al dramma lirico in 5 atti Pelléas et Mélisande da cui le linee melodiche continuamente fluiscono e si smorzano. L’opera viene rappresentata a Parigi il 30 aprile 1902 con discreto successo.
Dopo Pelléas et Mélisande Debussy ritorna all’orchestra, realizzando con La mer (1903-1905) e con Images, composte fra il 1905 e il 1912, i suoi capolavori sinfonici, dove gli spunti paesaggistici diventano pretesto per l’esposizione quasi pittorica di colori e sfumature.
Negli ultimi anni di vita la sua fama declina, in favore di quella del nuovo astro Maurice Ravel. Nonostante l’aggravarsi del tumore intestinale che lo affligge ormai da tempo, riesce a completare il suo messaggio musicale con i 2 libri Douze Etudes (1915), in cui molti critici identificano il vertice della sua opera pianistica.
Nato a Rohrau in Austria nel 1732 da genitori poveri, entrò giovanissimo come cantore nella cattedrale di Vienna e fu avviato allo studio della musica da un parente. Studiò canto, violino, clavicembalo e composizione, adattandosi per i primi anni a qualche saltuario lavoro come insegnante o come orchestrale.
Una svolta decisiva nella sua vita si ebbe nel 1761, quando il ricchissimo principe Nicola Esterhazy lo assunse come compositore alla sua corte; qui Haydn rivestì l’incarico di maestro di cappella per circa trent’anni fornendo musiche per le più svariati occasioni. Il numero delle sue composizioni è enorme e annovera più di cento sinfonie, circa ottanta quartetti, numerose sonate, concerti, trii e masse. Quando del 1790 morì il principe, Haydn fu licenziato, ma ricevette immediatamente l’incarico di recarsi a Londra per comporre e dirigere alcune sinfonie.
La fama e la fortuna di Haydn sono legate proprio alla musica strumentale, e in particolare ai quartetti per archi e alle sinfonie. A questi generi Haydn impresse un segno molto profondo, dando all’insieme strumentale quell’elegante perfezione stilistica e formale che conferirono alle sue opere tanta popolarità. Morì, famoso e colmo di onori, nel 1809 a Vienna. Viene ricordato come il “padre” della forma sonata.
Rachmaninov ‹rakℎmàn’inëf›, Sergej Vasil´evič. – (Onega, governatorato di Novgorod, 1873 – Beverly Hills 1943). Studiò al conservatorio di Pietroburgo e poi a quello di Mosca, dove ebbe come insegnanti A. I. Siloti per il pianoforte, S. I. Taneev e A. S. Arenskij per la composizione. Nel 1917 si trasferì in Occidente, dapprima a Parigi, quindi negli USA e in Svizzera. Come pianista, fu uno dei più applauditi concertisti del suo tempo; come compositore, aderì alla corrente d’intonazione cosmopolita, avversa alla scuola nazionale russa. Tra i suoi lavori, caratterizzati da un brillante eclettismo, figurano le opere Aleko (1893), Il cavaliere avaro (1906), Francesca da Rimini (1906), composizioni orchestrali, tra cui tre sinfonie, quattro Concerti per pianoforte e orchestra (1890-91, 1901, 1909, 1927), Rapsodia sopra un tema di Paganini (1934, sempre per pianoforte e orchestra), brani corali, musiche per pianoforte, musica da camera e liriche.
Billie Holiday: Soprannominata anche Lady Day, per molti è stata la maggiore vocalist che il jazz abbia conosciuto. Americana di Filadelfia, in Pennsylvania, Eleanora Fagan si riscattò da un’infanzia difficile iniziando la carriera di cantante nei club di Harlem, con il nome d’arte B.
Dalla metà degli anni Trenta andò incontro alla fama, collaborando con mostri sacri del jazz, quali Lester Young e Louis Armstrong, e sfidò il clima di segregazione razziale cantando, tra le prime a farlo, insieme a musicisti bianchi. Tra i suoi cavalli di battaglia: “God Bless the Child”, “Strange fruit” e “The man I love”.
Preda di alcool e droga, morì per le complicazioni di una cirrosi epatica nel luglio del 1959.
Nasce a Baltimora Il 7 aprile del 1915 Billie Holiday cantante statunitense, è una delle voci jazz e blues più grandi di tutti i tempi.Una delle piu’ ammirate interpreti jazz, una vita segnata da alcool e droga, inizia a lavorare nel 1936 con Lester Young che le da’ il soprannome che la fara’ conoscere a tutti, Lady Day. Gardenie bianche tra i capelli diventano il suo segno distintivo assieme alla voce che con il passare del tempo si fa roca, rotta, indimenticabile. Muore a 44 anni, nel 1959.
Edward Kennedy Ellington era compositore, pianista e direttore d’orchestra americano di nascita 29 aprile 1899 a Washington, è morto 24 maggio 1974 a New York. Si tratta di una delle figure più importanti del jazz, o musica americana. Infatti, è considerato uno dei compositori più grandi e prolifici del Novecento, che hanno sviluppato nuove idee sinfonia in base all’espressione e l’intonazione del jazz e del blues al jazz e ha lasciato molti di serie. Ellington ha preferito chiamare la sua musica “musica americana”, piuttosto che jazz. [Ref. necessaria] La sua band inclusi i musicisti che sono stati spesso considerati come i giganti del jazz e rimase in alcuni casi da decenni con lui. Alcuni di loro erano di interesse per sé, ma è stato soprattutto Ellington che li trasformò in una delle orchestre più famose della storia del jazz. Aveva l’abitudine di comporre appositamente per alcuni dei suoi musicisti, tenendo conto dei loro punti di forza, come “Blues Jeep” per Johnny Hodges, “Concerto per Cootie” (“Do Nothing Till You Hear from Me”) per Cootie Williams e “The Mooche” per Tricky Sam Nanton. Ha inoltre inciso canzoni scritte dai membri della sua orchestra, come “Caravan” e “Perdido” di Juan Tizol. Dopo il 1941 collabora frequentemente con il compositore e arrangiatore Billy Strayhorn che lui chiama il suo alter ego. Era una personalità nere ventesimo secolo più famoso d’America ha registrato per molte case discografiche americane, ed è apparso in diversi film. Ellington e la sua orchestra in tour regolarmente negli Stati Uniti e in Europa dopo la creazione dell’orchestra nel 1923 fino alla sua morte nel 1974. Suo figlio Mercer Ellington poi ha preso le redini dell’orchestra fino alla sua morte nel 1996. Oggi l’orchestra è sotto la direzione di Barry Lee Hall, Jr..